La pesca in Toscana affonda, aumenta il pesce non italiano

Meno pesce fresco in tavola per effetto della crisi e a risentirne sarà anche la nostra salute. La crisi fa scendere i consumi di pesce italiano (-16%) al di sotto dei limiti di guardia: ogni consumatore dovrebbe – a questo punto è d’obbligo il condizionale – consumare almeno 20 chili di pesce all’anno. Ma non è così, almeno non più. E’ uno dei dati forniti nel corso del convegno promosso da Impresa Pesca Coldiretti che si è tenuto questo pomeriggio a Viareggio nel corso del quale si è parlato diffusamente della crisi del settore connessa anche alla crisi dei consumi. La recessione ha portato il consumatore medio ad acquistare meno pesce (-11%) secondo un’analisi di Coldiretti sulla base delle elaborazioni sui dati Ismea relativi al primo quadrimestre del 2013. Il 75% del pesce consumato all’anno pro-capite “non è italiano” ma proviene quindi da altri paesi; solo 5 dei 20 chilogrammi è “Made in Italy”. “Un dato che fa impressione – ha commentato Tulio Marcelli, Presidente Coldiretti Toscana aprendo il convegno – ma che il nostro progetto di rilancio e valorizzazione vuole provare ad invertire insieme alla crisi del settore che è sempre più acuta. Tre quarti del pesce che consumiamo non è italiano ma è pescato in altri mari che non sono i nostri e di cui a volte la provenienza è molto dubbia per non parlare della qualità. L’aumento degli allarmi alimentari è lì a dimostrare che bisogna fare di più sul fronte della tracciabilità e della valorizzazione del prodotto locale”. Secondo Coldiretti (info su www.toscana.coldiretti.it) sono aumentate del 6,3% le famiglie che hanno rinunciato ad acquistare pesce fresco nonostante i prezzi al consumo siano rimasti pressoché stabili. A segnare un forte calo nei è il pesce azzurro come le alici che calano del 12% ma nel piatto degli italiani diminuiscono anche i calamari (-14%) e le cozze e gli altri mitili (-12%). Il progetto di “Impresa Pesca Coldiretti” presentato in occasione del convegno mira a rimettere al centro della “filiera ittica” l’impresa potenziando la vendita diretta, tagliando le intermediazioni e favorendo il consumo di pesce fresco appena pescato e locale. Impresa Pesca ha avviato, proprio in Versilia, alcuni progetti di “porta a porta” e vendita diretta nei mercati di Campagna Amica che stanno dando risposte alle imprese e al consumatore finale. “La pesca di Campagna Amica accorcia la filiera del mercato ittico, garantendo al consumatore un prodotto fresco, italiano e sempre tracciabile. In questo modo – ha spiegato il Direttore di Fondazione Campagna Amica, Toni De Amicis - viene tutelato l’ambiente, il lavoro dei pescatori e la qualità di ciò che portiamo in tavola”. Per Tonino Giardini, Coordinatore Nazionale di Impresa Pesca “i marchi di tutela come l’Igp e la Dop, possono essere una tutela forte per il pescato locale. La crisi di questo settore deriva dal fatto che le imprese non sono in grado di fare reddito. Valorizzando e tracciando il nostro prodotto, rimodificando i criteri di tracciabilità si può invertire la tendenza”.

Tra i fattori dell’involuzione del settore, oltre alla crisi appunto, l’aumento dei costi di produzione. Particolarmente significativo su questo fronte invece il “taglio” dei costi del gasolio con l’avvio del progetto “Gasolio Sociale” per il rifornimento dei pescherecci viareggini che produrrà un sensibile risparmio. Che la pescatoscana, come del resto quella nazionale, fosse in crisi non è un mistero. Il numero delle imbarcazioni attive è drasticamente crollato passando dalle 887 unità del 1999 alle attuali 607 con un saldo negativo di 280 (-31%). Il ridimensionamento progressivo e costante della flotta ha prodotto effetti inevitabili sulla composizione dell’equipaggio: dal 2001 ad oggi si sono persi complessivamente il 10% di addetti diretti con la media equipaggio ferma all’ 1,7 contro il 2,2 nazionale. I fattori alla base della fuoriuscita di occupati dal settore sono da collegare – come spiega bene nel rapporto annuale l’Irepa – in primis alla progressiva riduzione del numero di pescherecci, tuttavia un ruolo importante in questo andamento è stato svolto anche dalla riduzione della produttività fisica ed economica delle imbarcazioni e, soprattutto nell’ultimo biennio, dall’aumento dei costi di produzione cha ha contribuito ad aggravare la condizione economica delle imprese di pesca e quindi dei lavoratori. Basti considerare che il costo del lavoro per addetto annuo, che corrisponde al compenso lordo percepito dall’equipaggio, evidenzia rispetto al 2004, una riduzione di oltre il 15% sia su base annua sia mensile. In forte frenata anche il fatturato (-24% rispetto al 2011) con il 2012 che si è chiuso con un totale di circa 41milioni di euro di utili rispetto ai 51milioni dell’anno prima: una delle peggiori performance dal 2008 (38milioni di euro). Le difficoltà strutturali del comparto fanno ancora più impressione se consideriamo le quantità di catture annuali che sono direttamente collegate alla riduzione del numero dei battelli e dei giorni di pesca (110 giorni media battello per untotale di 67228): – 61% rispetto al 1999 (21mila tonnellate contro le 8mila del 2012). Tra i temi al centro del convegno il fermo pesca, la tracciabilità ed il controllo.

Modelli vincenti. Dal mare direttamente nel piatto: per questo si chiama miglio zero. In regione, in particolare a Viareggio, ci sono già alcune affermate esperienze partite nell’ultimo anno che spaziano dalla vendita diretta nei mercati di Campagna Amica fino al “porta a porta” con servizio di “sfilettamento” del pescato acquistato sul posto. Tutto incluso nel prezzo. Modelli vincenti replicabili ed esportabili che sarannopotenziati ed implementati dai primi ristoranti di “Campagna Amica nel Piatto” che utilizzano pesce locale, 100% dei nostri mari. A Viareggio, per esempio, abbiamo Marco e Paolo, due giovani “pescivendoli” figli di capitani che vendono il pescato delle motonavi di famiglia. Miglio zero estremo.

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