150° anniversario della proclamazione di Firenze a Capitale del Regno d’Italia

Il 18 novembre 1865 s’insedia a Firenze il Parlamento.
Vittorio Emanuele inaugura la IX legislatura nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio. Le vie percorse dal corteggio reale sono stracolme di gente nonostante la pioggia. Il cannone della fortezza da Basso ha sparato un colpo quando il re insieme ai suoi figli ha lasciato palazzo Pitti. [Naz. 19/5/1864] Con questa cerimonia la capitale è ufficialmente insediata. [Camerani 1971]

L’epidemia di colera ha ritardato l’inaugurazione.
La convocazione del Parlamento era in programma per il 15 novembre ma è stata posticipata di tre giorni con il decreto dell’8 novembre 1865. Al sud dilaga un’epidemia di colera e il re ha voluto essere vicino al popolo. È partito il 9 novembre accompagnato dal ministro dell’Interno Natoli e da quello di Grazia e giustizia Cortese. Si è recato ad Ancona e di seguito a Napoli. [Mon.Bo. 10/11/1865]

Accanto al Vasari i politici sembrano dei lillipuziani.
Il re arriva alle 11 a Palazzo Vecchio, dove è accolto dalle delegazioni di Camera e Senato. Il salone dei Cinquecento ha un aspetto imponente e stracolma di pubblico. «I nostri uomini politici, in abito nero e cravatta bianca (hanno) un aspetto lillipuziano ed anche grottesco messi ad immediato confronto con gli omaccioni dipinti da Giorgio Vasari nei quadri murali delle guerre di Siena e di Pisa». [Pesci 1904]

Un vasto programma per la nuova Italia.
Il re è seduto nel trono del Salone dei Cinquecento circondato ai lati dai principi Umberto e Amedeo. Vittorio Emanuele nel suo discorso delineaun vasto programma per il paese: «Compiere la unificazione legislativa, istruire le masse, migliorare il credito, attivare i più urgenti lavori, riparare lo squilibrio finanziario senza scemare le forze di terra e di mare, accrescere le fonti di pubblico reddito». [Mon. Bo. 19/11/1865]

Roma sarà italiana.
Nel discorso del re è toccata anche la delicata “questione romana”. «Chi bada meno ai concetti che alle parole, si dorrà forse di non trovare nel discorso Reale detto a chiare note che Roma diverrà fra poco la capitale d’Italia, che la Venezia sarà presto aggregata alla patria comune. Ma chi tien conto delle convenienze politiche (…) riconoscerà che la parola Sovrana non poteva essere più esplicita su questi punti, dei quali è abbastanza chiara per gli intelligenti l’affermazione». Terminato il discorso il re alle 12 esce dall’aula. [Mon. Bo. 19/11/1865]

«Il discorso di Vittorio Emanuele non parve dei migliori da lui pronunciati fino a quel giorno. Le condizioni dell’Italia e le difficoltà politiche impedivano maggiore schiettezza; e d’altra parte piacciono generalmente poco i discorsi che rammentano i doveri più dei diritti, e toccano il tasto doloroso del disavanzo e della necessità di fargli fronte» [Pesci 1904]

Il Diritto contesta le parole del re.
Dure le parole che Il Diritto scrive per commentare il discorso del re. «Per un giornale del partito d’azione un discorso in cui il Re d’Italia non dica che, appena finito di recitarlo, monterà a cavallo per dar guerra a mezzo mondo, sarà sempre cosa misera. (…) Per chi fida soltanto nelle barricate e nelle cariche alla baionetta il parlare di fiducia in Dio è cosa da ascetici e da musulmani». [Naz. 22/11/1864]

Il salone dei Cinquecento riallestito da Falconieri.
Il salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio è stato riadattato dall’architetto Carlo Falconieri per ospitare le sedute della Camera dei deputati. Le notevoli dimensioni del salone, lungo quasi 53 metri, largo 22 e alto 18, hanno obbligato Falconieri a risolvere il problema dell’acustica con un palco di legno sopraelevato che crea una cassa di risonanza. Per la scarsa illuminazione della sala sono state inoltre aperte sei grandi finestre. Nelle altre parti del palazzo sono aperti cortili e scale. Su via dei Leoni è stata interamente costruita un’ala. Un intervento fortemente invasivo che non ha risparmiato l’architetto da feroci critiche. [Em. Pitt. 1-7/4/1866]

Il Senato nel teatro degli Uffizi.
Carlo Falconieri esegue anche i lavori per la sala del Senato nel teatro mediceo di Bernardo Buontalenti agli Uffizi. Come per l’aula della Camera anche per quella del Senato bisogna risolvere il problema della scarsa illuminazione e ha aperto cortili e finestre. Ha costruito una scala. A piano terra è allestita la biblioteca, l’emeroteca e le sale ricreative. l’aula è «splendida per eleganza e ricchezza degli ornati, e così leggiadramente disposta e conformata, che non la cede a nessun’altra sala parlamentare d’Europa, neppure alla Camera dei Lordi in Inghilterra» [Em. Pitt. 1-7/4/1866]

I senatori fiorentini Strozzi, Della Gherardesca e Ginori si opposero pubblicamente allo scempio del teatro ma senza successo.«Le frettolose decisioni del momenti decretarono la distruzione di una testimonianza importante della storia dell’architettura e dell’arte del Manierismo, ma forse a quei giorni poco valutate per l’incomprensione dell’opera di Bernardo Buontalenti». [Niglio 2011]

Ricostruzione storica a cura di: cinquantamila.corriere.it

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